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IL CIRCOLO LETTERARIO ANASTASIANO CONTINUA SU:

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TACCUINO ANASTASIANO

25 febbraio 2013

"Da questa parte, qualcosa", il romanzo di G. M. Guaccio


"Da questa parte, qualcosa": è questo il titolo, molto intrigante, del recente libro di Gennaro Maria Guaccio, presentato nella sala dell'Associazione Megaris di Napoli, venerdì scorso 22 febbraio.
Si tratta di un romanzo che narra le vicende di Eros, professore di scienze in un liceo, il quale torna a casa dopo un periodo sabbatico, durante il quale ha cercato di recuperare il senso della vita, smarrito dinanzi a una serie di avversità. La presa di coscienza del male del mondo gli ha procurato infatti inquietudine e disagio sociale, dalla incomprensione e successiva separazione dalla moglie, ai rapporti diventati difficili in una scuola caotica e governata con dispotismo e malaffare, alla madre colpita da Alzheimer, alla collega carina e problematica con la quale non è riuscito a legare, alla considerazione, infine, che tutto il mondo, quello fisico quanto quello psicologico, possa essere minacciato da una sorta di virus killer. L'amicizia con un docente di storia, la partecipazione ad un convegno, e soprattutto la vita in una piccola baia solitaria, lo riporteranno a casa, dove lo attende inaspettatamente Olga, la badante di sua madre: con lei ritroverà il senso della vita in una prospettiva che si annuncia duratura.
A relazionare sul libro sono state le professoresse Anna De Simone, docente di analisi chimiche, Luisa Giuliani, docente di lettere, e Adriana Guarriello, docente di biologia.
Gennaro Maria Guaccio, napoletano, scrittore e saggista, ha pubblicato diversi racconti e romanzi, sempre bene accolti dal pubblico e dalla critica ufficiale.

Gennaro Maria Guaccio, "Da questa parte, qualcosa", Aletti Editore, dicembre 2012. Pagine 280, Euro 15,50

18 febbraio 2013

I "Sapienziali" di Gianmario Lucini in una nota critica di Marco Scalabrino


Pubblichiamo qui di seguito una approfondita recensione dell'amico poeta Marco Scalabrino, sul recente lavoro poetico di Gianmario Lucini: "Sapienziali".

Tutti compresi nell’Antico Testamento, “i libri sapienziali – detti anche poetici, per la loro forma letteraria, e didattici, perché insegnano in senso generale la sapienza – sono: Proverbi, Giobbe, Qohèlet, Cantico dei Cantici, Sapienza, Siracide, e risalgono ai secoli V - I a.C.”
Ad essi ovviamente, sebbene in un ordine appena differente, si rapporta Gianmario Lucini, oltre che, vedremo, ai profeti Isaia, Geremia ed Ezechiele nonché alle Lamentazioni e ai Salmi.
Cos’è, in senso biblico, la Sapienza? cosa sono i Sapienziali? quali sono le asperità teologico-morali che scaturiscono da questa rivisitazione di quei testi, lascio alla altrui specifica competenza il compito di delucidare.
Il proposito che mi attiene riguarda un ambito più terreno e altre più concrete domande, ovvero quali sono stati, quanto alla scrittura, le formulazioni, il registro, gli esiti.
Sapienziali è il nono lavoro di poesia di Lucini.
Presentato in prima assoluta a Trapani, in forza del rapporto di stima letteraria e umana instaurato con Stefania La Via, al cui acume di attenta operatrice culturale non è sfuggita la validità del lavoro di Lucini, il volume sarà poi presentato a Sassari, Cagliari e Alghero.
Nella nota introduttiva, Lucini scrive che “il lettore si trova davanti a una poesia anche religiosa”, ma che la sua è “una raccolta anche civile”, ponendo in corsivo i due anche, quasi a volere produrre una mitigazione della portata spirituale della silloge.
Mi permetta l’illustre amico di ritenere la sua una affermazione deliberatamente provocatoria. I testi, difatti, si richiamano profondamente alle radici della cultura giudaico-cristiana e la poesia che ne discende è, al contempo, pienamente civile e pienamente religiosa e a tratti il colloquio col Trascendente si fa assai serrato.  
Sottolinea poi nella avvertenza Lucini che l’odierna stesura è maturata dalla insoddisfazione per la prima versione dell’opera dal medesimo titolo; ma, per le tante modifiche anche strutturali apportate, l’impressione piuttosto è quella di trovarsi davanti a una opera nuova.
Scontato che ogni singola parola di questo lavoro meriterebbe la nostra attenzione, meriterebbe di essere sviscerata in sé e nel rapporto con le altre del contesto in cui essa gravita, che ogni singola locuzione meriterebbe di essere ponderata a motivo della attualizzata collocazione che Lucini le conferisce, mi limiterò a proporre una essenziale selezione degli esiti che Lucini ha realizzato nell’intento di mettere in atto una sorta di veemente testimonianza della perenne attualità dei precetti in quelle scritture contenuti. Esempi – mi piace sperare – utili a stimolare l’interesse del lettore, a questi demandando la facoltà di approfondire.
 Inframmetterò, al fine di avvalorare l’esposizione, quelle notazioni che, di volta in volta, dovessero risultare più idonee.
A partire da quella sul linguaggio che, come nel modello biblico, è la prosodia libera e salmodiale; un “linguaggio solenne e insieme semplice”, atto a “ricreare un ambiente di sacralità nel quale possa meglio risuonare la parola che cerca senso”.

Lucini apre con un Prologo:
Oggi … il coro del disordine / frantuma ogni umanesimo … e le parole disanimate cadono / al furore del male …
Troveremo una parola testarda … una parola d’acqua, una parola di lacrime / una parola di risa e di danza / una parola per chi nasce e una per chi muore / una parola antica e nuova da lasciare ...
La parola e il poeta: un tema, sin dal Vangelo di Giovanni: “Il Verbo si fece carne”, in apparenza abusato eppure sempreverde se chi scrive ha cosa dire e sa come scriverlo.

 Nessuna parola contiene il silenzio / ma il silenzio tutte le contiene.
Giobbe è il personaggio universalmente noto per la proverbiale pazienza; il suo è il “poema grandioso dell’innocente oppresso dalla sofferenza immeritata ma che non cessa di cercare Dio”. Lucini punta la sua attenzione sul capitolo 40, versetti 4-5.
Io sono Giobbe … chiamo per nome la Giustizia ... Io sono Giobbe ... non ho più forze per rincorrerti … Io sono Giobbe … ho lottato col Silenzio / l’ho citato in giudizio.
Per tre volte parla Giobbe, [il corpo ricoperto] di pustole e piagheconfuso dal dolorela mente sconvolta dal pensiero capovolto; una sola volta parla il Silenzio, (o Dio), la Legge, il Grande Libro.
Da notare il verbo cincischiare, voce ormai desueta, nel verso: Cincischiano nell’atrio del Tempio.

 Proverbi. Compongono il libro “nove collezioni di proverbi. La prima di esse è una lunga esortazione ad amare e acquisire la sapienza.” Lucini mira al capitolo 1, versetto 28.
Io sono  la Sapienza … scintilla / che graffia l’orizzonte.
Io sono  la Sapienza … parola che straripa dal suo tempo.
Io sono  la Sapienza … orecchio che ascolta / vibrare altri mondi.
Non vedo che orrori e li chiami progresso.
Non vedo che rapine e le chiami giustizia.
Il sale spezza le labbra ai miei sorrisi.
Il lavoro di Lucini è prodigo di spunti atti a favorire le nostre notazioni.
Il sale nel mondo antico era prezioso quanto o più che adesso. Salario è, tuttora, il compenso ricevuto da un lavoratore dipendente per le proprie prestazioni. L’etimologia del termine risale all’antica Roma, allorché i soldati delle legioni venivano pagati in grano, vino, olio e specialmente in sale. La sua centralità nella vita dell’uomo è testimoniata nella letteratura, nella mitologia e nelle religioni. Valga per tutti un passo del Discorso della Montagna in cui Gesù, rivolgendosi alle folle e ai discepoli, dice ”Voi siete il sale della terra” (Matteo 5,13). Ben note sono la Via Salaria, attraverso la quale questo prodotto giungeva da Roma sino alle zone più interne della penisola, e una fra tutte la magnifica città di Salisburgo, che giusto dal sale prendono il nome.
Vi fa capolino il vocabolo legulei, nell’accezione di uomini di legge pedanti e cavillosi o, peggio, al servizio dei potenti.

Qohèlet. È una “raccolta di riflessioni disincantate sull’esistenza umana in cui tutto appare vano e senza senso.” Il richiamo di Lucini è al capitolo 1, versetto 18: “Dove c’è molta sapienza c’è molta tristezza, se si aumenta la scienza si aumenta il dolore.”   
Quello che stava a destra ora sta a sinistra / il sopra cambia nel sotto ed è mutato / di segno ogni pensiero …
Capovolto nel mondo capovolto l’uomo cerca direzioni / sprofonda nello zenit, ascende nel nadir / scende salendo e avanzando si ritira …
tutto è perfido e giusto, insano e saggio.   
Quanto “vento” in questo secondo libro: l’urlo del vento, versi nel vento, giri nel vento, canto portato dal vento, vento arroventato, ogni volto si confonde nel vento;
e nel vortice che esso determina si affaccia “il peggiore dei mali”, si annida: “la terribile assenza dell’Altissimo”.

Cantico. La struttura a due voci che si alternano: l’amato e l’amante, il giovane e la fanciulla, lo sposo e la sposa, l’amico e l’amica, è propria del Cantico, un “idillio che sotto forma dell’amore fra due giovani suggerisce il rapporto tra Israele e il suo Dio.” Lucini si sofferma sul capitolo 2, versetto 10.
Amica, cresci un nido nel mio cuore …
Io sono desiderio ... oasi e miraggio …
ti offro il mio cielo perché tu vi possa splendere …   
saranno bastioni i miei fianchi / torri d’avorio i seni.

Sapienza. Le “riflessioni sul diverso destino di chi segue la vera sapienza e chi la rifiuta” afferiscono al libro della Sapienza: “c’è un giudizio di Dio e un’altra vita che attende l’uomo.” Il capitolo 12, versetto 23, è alla ribalta.
L’asserzione: Il ghigno del boia … ha il nostro volto, i nostri occhi, ci si scaraventa addosso come un macigno ed è a dir poco agghiacciante lo scoprirsi il boia di se stessi.

Siracide. “Vera sapienza è la Tôrah, la Legge.” Due gli estratti di Lucini da Siracide: dal capitolo 4, versetto 28: “Lotta per la verità sino alla morte e il Signore Dio combatterà al tuo fianco”, e dal capitolo 7, versetto 3: “Non seminare nei solchi dell’ingiustizia perché non la raccolga per sette volte”.
Non abita più con noi la Sapienza. Coloro che ne furono i saggi, ne sono adesso i detrattori, sono invero dei folli / che confondono scienza e desiderio / in un solo conato.
Un quadro desolante che però siamo esortati a superare:
Non ti curar di loro … indossa il tuo zaino, allaccialo alla cintola / e segui l’indizio delle stelle … cammina con prudenza e non fermarti; / sta’ lontana dall’abbaglio delle fiaccole / aguzza il tuo sguardo nella notte.
Una serie di imperativi sorretta da altrettanti futuri forieri di speranza:
Sceglierò un amico silenzioso e cercheremo un tesoro incorruttibile … saremo un esercito … ci scrolleremo di dosso la cenere … non varcheremo mai più confini insanguinati.

Isaia. Il “termine profeta deriva dal greco prophētēs e significa colui che annuncia, che proclama. Nella lingua ebraica il termine, però, ha un significato più vasto e racchiude anche quello di essere chiamato”. Si è soliti distinguere i profeti in maggiori: Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele, e minori: Gioele, Giona, Zaccaria e altri nove.” Lucini, per le tracce che ne derivano, si rifà al capitolo 2, versetto 8, al capitolo 29, versetti 11-12 e 13-14, al capitolo 32, versetti 16-17. 
Isaia è fra le parti più estese e intense della silloge di Lucini e, altresì, fra quelle che più hanno suscitato in noi occasioni di riflessione.
Ogni giorno improvvisiamo / nelle fabbriche nelle campagne / con l’ansia schizoide della normalità … la vera / democrazia misurata a ecoballe / acquedotti funzionali, piani energetici / progressi medici e scientifici / stile di vita e biocarburanti / incapsulati nell’imminenza.
“Democrazia”, “giustizia”, “libertà” … svuotati dal loro nobile significato. L’accezione che oggi hanno assunto, per l’uso che ne fa l’uomo, sa di bestemmia, demagogia, negazione del primigenio valore.
Ci muoviamo … circospetti … abbiamo soldati bene armati … congegni elettronici dallo spazio che ci scrutano … viaggiamo blindati, scortati … spendiamo … averi per proteggere gli averi / sacrifichiamo … terra acqua aria / allo sviluppo del sistema … alimentiamo un fuoco che divora …
La nostra tecnica controlla ogni evento / prevede l’orbita degli astri la scienza, / il furore degli atomi da qui all’eternità: / abbiamo santi e poeti per vincere la morte.
Ogni cosa è intesa come fosse opera dell’uomo; tutto è ricondotto a suoi conquista e merito e non già, com’è, a superiore progetto divino. Ancora oltre la facoltà del libero arbitrio, l’uomo sembra addirittura volersi proiettare alla volta dell’onnipotenza. Ma egli può solo illudersi di potere dominare il disegno di Dio, di poterlo superare; le sue opere saranno inesorabilmente devastate.
Unicamente i miti ardiscono dire: non facciamo più armi … vogliamo il nostro tempo per capire il donde e il dove / vogliamo la dignità, non la ricchezza / non vogliamo sciupare più nulla ma prendere in prestito soltanto / chiedendo il permesso alla natura; ma la flebile eco della loro voce non valica le frontiere dell’utopia. 


Voglio un poema che canti il mio inferno / dal purgatorio salga al paradiso / da questa morte mi riporti alla vita. Un evidente percorso dantesco, enfatizzato dalla reiterazione dei versi: Dove sono quelle labbra, quelle voci? / Dove guarda la luce di quegli occhi?

Geremia. Nato in un tempo senza fede né speranza, Geremia vive sul piano personale il dramma di una “parola” che deve annunciare e che non è ascoltata. Lucini punta i riflettori sul capitolo 2, versetto 18, e scrive: Sono la furente puttana del potere / che da trecento anni seduce i poveri, li rende / schiavi felici, middle class dell’orrore / pronta a sbranare per un idolo di carta.

Lamentazioni. Il nostro autore si richiama al capitolo 5, versetti 4-5. Se riuscirà a recuperare l’innocenza degli inizi, si annuncia, l’uomo potrà riaprire la rossa speranza e ritrovare la via della pace.

Ezechiele. Il linguaggio di Ezechiele è carico di immagini complesse, spesso caratterizzato da azioni simboliche, destinate a illustrarne in modo efficace il messaggio: la sacralità di Dio, il vivere accanto a Dio nella purezza e nella santità. Lucini si riallaccia al capitolo 34, versetti 3-4.  
Quando mai trovammo giustizia sulla terra? / Hai mai veduto un potente preoccuparsi per un povero? / Hai mai veduto un esercito proteggere i bambini?
I potenti sprecano i beni del mondo per gli eserciti / rubano il pane ai poveri per costruire armamenti / le loro armi uccidono ancora prima di essere usate / perché sono fatte col pane sottratto agli affamati. È tremenda e altrettanto veritiera questa ultima affermazione.   

I Salmi sono 150 preghiere in forma poetica che, pur formando un libro del tutto a parte, vengono inseriti nella Bibbia nel libro dei Sapienziali.

La notte stellata, negli occhi ti brilla la notte, e poi verrà la notte, tuo sguardo nella notte, luci della notte, la notte è una madre tenerissima, gli artigli della notte, fin che viene la notte, il respiro della notte ... il termine notte è uno fra i più diffusi della silloge.    
Dal suo ventre uscimmo perfetti … colmi di luce e stupore / ascoltavamo il silenzio dell’amore … fin quando agimmo con mitezza e con giustizia / l’astro dell’amore visitò i nostri cortili.
In origine era la perfezione, dovuta all’agire di Dio, dall’essere stati partoriti dal suo ventre, dall’accettare di essere sue creature. Successivamente l’uomo è montato in superbia e dal suo agire scriteriato è generata la sua disperazione: il nostro cantare … è un turbinio di polvere … una voragine di vento ci dorme nella bocca / e le parole vi stridono ... non più parole, ma vocali e consonanti.
Ritorna, ridotta a mero suono, a inconsulta emissione di fiato che maldestramente incespica, si sfalda, la parola. Ritorna nell’attesa del tempo in cui sarà la Giustizia e il Giudizio … [e] il mondo dormirà nell’unica / parola che tutte le contiene.
Si chiude, così, il cerchio sul tema della “parola” iniziato a pagina 13, nel Prologo.

Nel suo lungo e duro dispiegarsi, nella spasmodica ricerca del Trascendente, Sapienziali è, dunque, l’analisi della attuale nostra situazione storica in rapporto al senso della Storia e le questioni che il poeta si pone mi pare siano, in estrema sintesi: da dove siamo venuti? cosa davvero siamo? dove stiamo andando?
Nel tentativo “di riattualizzare il pensiero biblico-mitico, conferendogli la dignità di giudizio della Storia”, il libro è a mio avviso importante per l’attualità del messaggio o meglio per la particolarità della visione del Nostro. 
Sapienziali è un libro laico che parla con Dio religiosamente; un libro la cui ambizione è quella di “eliminare la cesura laico-religioso per ritrovare l’autentica capacità di dialogo con l’Essere”, un libro che dalla Bibbia, dai suoi temi e dai suoi intenti, cerca “una ragione per proporsi come poesia per l’uomo del nostro tempo”.

Marco Scalabrino

9 febbraio 2013

L'"ospite indocile" di Lucianna Argentino

Dopo un breve periodo di silenzio, Lucianna Argentino torna a donarci un nuovo libro di poesia: l'"Ospite indocile", Passigli Editori. Beninteso, non è stato un perido di assenza, perché la poesia, e in particolare la poesia dell'Argentino, non tace mai, semmai può sussurrare in sordina, aleggiare attorno alla persona e alle cose che l'accompagnano. La nostra poetessa, dall'ultimo suo libro pubblicato (la plaquette Favola, del 2009, illustrata con gli ottimi disegni ad acquerello di Marco Sebastiani), in realtà non è rimasta mai inattiva, anzi, si può dire che la sua frequentazione del mondo della letteratura e della poesia, sia andata vieppù crescendo. I libri, si sa, sono solo delle occasioni, delle belle occasioni per fare in un certo qual modo il punto della situazione, sono rappresentativi del proprio pensiero e dei propri progetti poetici fino a quel momento, un completo e complesso biglietto da visita, insomma; ma è anche naturalmente un punto di partenza. Una stazione, non un capolinea, una fermata importante dove raccogliere ed esporre il proprio lavoro, quello che si è fatto e si è detto, per poi ripartire subito verso altre mete, con un bagaglio certamente più ricco.
Ed è così anche per Lucianna Argentino. Questo suo ospite indocile se l'è portato nel suo intimo per lungo tempo, lo ha indagato in profondità, lo ha interrogato con serietà e puntigliosità, ma anche con dolcezza, con convinzione, perché finalmente uscisse alla luce del sole manifestando tutta la sua profonda verità, tutto il suo ricco discorso sull'essenza della vita. Ed è un ospite indocile soprattutto il padre, al quale è dedicata la raccolta, un padre amatissimo ma difficile da interiorizzare, un padre "che è un nome difficile, che a sussurrarlo temi ne fugga la luce e a dirlo forte se ne perda il regno". Parole forti, che indicano un equilibrio instabile, indocile, appunto, un sentimento quasi ingestibile razionalmente. Ma è lei stessa l'indocile, la mai anima stabile, che scende ad indagarsi profondamente, fin quasi a capovolgersi, o meglio a rovesciarsi, come quando afferma: "Ora mi siedo e scrivo da dentro questa fonte mai sazia dove a volte il silenzio ha la meglio ma di nuovo mi feconda la vita, mi seduce la scrittura concupisciente e casta". E' un impeto ben controllato, però, dove le parole sono ancora più affilate e incisive di quelle di una raccolta precedente, Mutamento, per la quale ebbi a dire che la ricerca assidua e tenace della verità, questa “voglia” di “mutamento”, questo desiderio di incidere con la “lama” della poesia, che è un’arma raffinatissima, colta e immortale, nel tessuto della qualunquaggine per trarne, appunto, esiti di verità, è così potente in Lucianna Argentino, così veemente, che la nostra poetessa riesce ad esprimersi anche in prosa, e l’alternarsi di prosa e poesia non è affatto stridente, bensì risulta molto omogeneo e attinente al tema. Plinio Perilli ribadisce in modo molto esauriente questa omogeneità dell’Argentino, quando afferma: “Così ogni brano o istante della sua scrittura – poesia o prosa, la differenza è solo formale – sconfina in un unico, trasognato e lucidissimo lirismo incandescente d’Idealità, ma non meno mitridatizzato e assuefatto ai venefici riti o ai piccoli drammi del quotidiano Reale…”
E questa operazione di rovesciamento, che porta il sé sulla superficie pellicolare e mette in cortocircuito il cuore della poetessa con il cuore del mondo, era già evidente in "Diario inverso". Commentando quella raccolta, infatti, scrissi che Lucianna Argentino non fa altro che ribadire, in un modo sempre più alto poeticamente e sempre più vicino a quella, oserei dire, perfezione di metro e di stile che caratterizza i poeti maturi e consolidati, il suo excursus nel mondo interiore, a “ritroso”, per recuperare quanto più possibile identità, risposte, verità, lacerti e brani di quella entità profonda e impalpabile chiamata anima.
C'è dunque una sicura continuità con le raccolte precedenti, e questo è naturale per un poeta, una poetessa impegnata come l'Argentino, alla ricerca continua di affinamenti e novità da proporre, a livelli poetici sempre più considerevoli, come in questo suo "Ospite indocile", dove troviamo una forma di scrittura poetica ancora più affilata e diretta, ma nello stesso tempo dolce e armoniosa. Il suo è un osservare ampio le scene, congiungendo perfettamente, nei vari brani poetici senza titolo, quasi tasselli di un grande e complesso mosaico, il mondo interiore con la realtà esterna, l'anima con le cose contingenti, il momento di riflessione con il tempo del vivere quotidiano.
Lucianna Argentino, con questa sua recente raccolta, edita da una delle più prestigiose Case Editrici, si colloca senza alcun dubbio tra le voci più importanti del nostro attuale panorama poetico italiano, dismostrando una fine sensibilità unita ad uno stile originale, frutto di intensa ricerca e pertinace lavorìo personale sull'espressione poetica.


Dice che non c'è addio nelle asole
e asola allora sia:
poca materia intorno e vuoto.
Sia passaggio e allaccio
sia lo spazio dell'abbraccio
sia pertugio e rifugio
sia il chiuso
esposto alla parola

Lucianna Argentino, "L'ospite indocile", Passigli Editori, 2012; presentazione di Anna Maria Farabbi.

Giuseppe Vetromile
9/2/2013

Il libro è stato presentato per la prima volta a Napoli, presso la Libreria Treves in Piazza del Plebiscito, venerdì 8 febbraio 2013. Le fotografie della presentazione:

7 febbraio 2013

"Il ricatto del pane", Antologia di Gianmario Lucini


Instancabile e professionale nella sua fittissima attività letteraria ed editoriale, Gianmario Lucini ci propone una nuova antologia tematica da lui curata, intitolata "Il ricatto del pane". Si tratta di un'opera voluminosa e ben strutturata, che raccoglie testi di poesia, di narrativa, di saggistica e altri documenti letterari, tutti dedicati al mondo del lavoro. Gli autori inclusi sono tantissimi, più di cento, e tutti sono ospitati adeguatamente, con almeno una pagina e note bio-bibliografiche.
Riportiamo quanto esposto in quarta di copertina:
"Occorre pensare al lavoro non soltanto come a una fetta di vita che si taglia via da sé e si dà ad altri in cambio del salario: questo è un patto satanico, come quello di Faust, una vendita dell'anima in cambio di soldi, non un "lavoro" che ci "realizza". La scissione, la schizofrenia che in qualche modo investe noi tutti, deriva dal fatto che mettiamo in contrapposizione gruppi di valori: da una parte il senso di giustizia, il valore della vita, della persona, della natura, e dall'altra il "diritto" alla felicità individuale, al successo, all'avere, alla propria realizzazione in una attività o in una impresa, il lavoro appunto, e decidiamo che è meglio un lavoro ambiguo, connivente con la logica perversa del sistema anarco-capitalistico, un lavoro anche funzionale alle guerre e alle stragi, piuttosto che dire non nel mio nome e soprattutto non con la mia complicità. Manca la forza di sventare il ricatto del pane".

"Il ricatto del pane" (Scritti e poesie sul significato del lavoro), a cura di Nerina Garofalo e Gianmario Lucini, con una nota di Guido Oldani. CFR Edizioni, 2013. Pagine 254, euro 15.00

3 febbraio 2013

"Alter ego, Poeti al MANN": l'Antologia


Il 27 novembre del 2011 fu una giornata memorabile per il Museo Nazionale di Napoli, ed anche per la poesia napoletana. Su iniziativa di Marco De Gemmis, responsabile del Servizio Educativo della Soprintendenza, e di Ferdinando Tricarico, due fra i poeti più impegnati del nostro territorio campano, nacque l'interessante iniziativa di "Alter ego, Poeti al MANN". Per la prima volta, forse, nella storia culturale di Napoli, la poesia è entrata letteralmente nelle sale del Museo, dove ben 40 Poeti hanno fatto rivivere l'aura della classicità, reinterpretando, rileggendo e ricreando i testi dei loro "alter ego" dell'antichità greca e latina, accanto a propri testi che in qualche modo continuavano la linea ideale del poeta classico scelto.
I testi sono stati raccolti in una interessante antologia edita da "Arte'm", sempre curata da Marco De Gemmis e Ferdinando Tricarico. La presentazione è avvenuta venerdì scorso 1 febbraio alla Feltrinelli di Piazza dei Martiri a Napoli, alla presenza di numerosissimi poeti e di un folto e attento pubblico. Hanno relazionato sull'antologia, oltre ai curatori, Teresa Elena Cinquantaquattro, soprintendente archeologo di Napoli e Pompei, e le professoresse Rossana Valenti e Cecilia Bello Minciacchi. Al termine della presentazione, alcuni poeti dell'antologia, presenti in sala, hanno letto i loro testi.
I Poeti di "Alter ego": Mariano Baino , Giuseppe Bilotta, Nora Catalano, Floriana Coppola, Ariele D'Ambrosio, Vera D'Atri, Carmine De Falco, Marco De Gemmis, Salvatore Di Natale, Bruno Di Pietro, Raffaele Di Stasio, Enrico Fagnano, Gabriele Frasca, Bruno Galluccio, Mimmo Grasso, Costanzo Ioni, Carmine Lubrano, Eugenio Lucrezi, Wanda Marasco, Giovanna Marmo, Stelio Maria Martini, Ketti Martino, Amedeo Messina, Gian Battista Nazzaro, Tommaso Ottonieri, Lucio Pacifico, Marisa Papa Ruggiero, Felice Piemontese, Antonio Pietropaoli, Ugo Piscopo, Annamaria Pugliese, Raffaele Rizzo, Paola Santucci, Enza Silvestrini, Michele Sovente, Antonio Spagnuolo, Ferdinando Tricarico, Luigi Trucillo, Raffaele Urraro, Giuseppe Vetromile, Ciro Vitiello. 

Le Foto de "La Rocciapoesia 3"

Le foto dell'incontro de "La Rocciapoesia 2", a Pratella, il 27 ottobre 2012

Le foto dell'evento "Una poesia fuori dal comune". Sant'Anastasia, 23 settembre 2012

Una poesia fuori dal comune, Sant0Anastasia, 23 settembre 2012

PUNTO, Almanacco della Poesia italiana

PUNTO SCHEDA

ARCARTE - IL VIAGGIO DELLA CREATIVITA'

Si è svolto il 30 novembre scorso, alle ore 17, presso l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Palazzo Serra di Cassano in Via Monte di Dio 14, Napoli, il Convegno di studi e reading di poesia "ARCARTE - IL VIAGGIO DELLA CREATIVITA'".
All'interessante incontro, promosso e organizzato dall'Istituto Culturale del Mezzogiorno e dall'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, hanno preso parte:
- Natale Antonio Rossi, Presidente Unione Nazionale Scrittori Artisti;
- Ernesto Paolozzi, Università di Napoli Suor Orsola Bnincasa;
-Antonio Scamardella, Università di Napoli Parthenope;
- Antonio Filippetti, Presidente Istituto Culturale del Mezzogiorno.
Nell'ambito del convegno si è svolta la rassegna "Liberi in Poesia", con la partecipazione di autori di diverse generazioni. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito ad "ARCARTE" quale suo premio una medaglia di rappresentanza.

Le foto del convegno

Presentazione "Sulla soglia di piccole porte"

Enza Silvestrini, 11 ottobre 2012